Stefano Nazzi - Scrutare nel volto del male
Newsletter n. 3 di Perseus - Libri e Argomenti
Se restiamo ancorati all'interpretazione del volto della Medusa come manifestazione simbolica della perversione distruttrice, quale potrebbe essere la sua incarnazione nella nostra realtà? E da dove nasce il male? Sono queste le due domande principali che Stefano Nazzi si pone nelle prime righe del suo libro, edito da Mondadori, "Il volto del male. Storie di efferati assassini". L'autore del podcast "Indagini", prodotto dal Post, prova a rispondere raccontando dieci storie maledette che sono un po' la riproposta del mito moderno dello sguardo di Medusa. Ne abbiamo parlato direttamente con l'autore.
Stefano Nazzi, grazie per aver accettato il mio invito a questa chiacchierata. Hai pubblicato il tuo libro per Mondadori Strade Blu a maggio 2023, cioè a un anno dall'uscita del primo episodio del podcast. Indagini ti ha dato una visibilità enorme e l'affetto di migliaia di utenti. Ti aspettavi tutto questo clamore? Come è cambiata la strategia del Post di fronte a un successo così gigantesco?
Ciao e grazie! No, non ci aspettavamo al Post e non mi aspettavo personalmente il successo che ha avuto indagini. È un riconoscimento per il modo in cui abbiamo provato a raccontare storie di cronaca. E quindi siamo molto soddisfatti e contenti di questo. Indagini va avanti e continuerà e poi vediamo cos'altro ci viene in mente. Abbiamo comunque belle idee da sviluppare.
Da dove viene Stefano Nazzi? In giro su internet si legge di un anno e di un luogo di nascita: 1961 a Roma. Poi la vita a Milano e nell'ultimo anno al liceo Beccaria la folgorazione per il giornalismo. E poi?
Poi ho iniziato prestissimo a collaborare con i giornali, facevo il collaboratore giornalistico. Ho iniziato a frequentare la redazione del mensile Class e poi ho lavorato anche per altri giornali della stessa casa editrice, come Milano Finanza, eccetera.
Ho fatto lì tutta la gavetta, per poi essere assunto e iniziare la carriera di giornalista professionista. Sono stato in giornali molto diversi, ho lavorato in giornali di turismo, in giornali femminili, ho lavorato in giornali maschili, in allegati dei quotidiani. Ho lavorato ai primi siti internet della Mondadori. Insomma ho fatto diverse esperienze, ma sempre come giornalista.
Ho letto che hai fatto il caporedattore a Gente.
Sì, caporedattore e vicedirettore ed è stata la mia esperienza professionale più lunga, ci sono stato 15 anni come inviato e via via fino a vicedirettore. Ho iniziato a occuparmi fondamentalmente di cronaca.
Come è nata invece la collaborazione con il Post?
È nata anzitutto con un'antica amicizia con il direttore, Luca Sofri. Quando ho lasciato l'azienda che pubblicava Gente che è l'azienda americana Hearst, ho iniziato a collaborare più frequentemente col Post per poi diventare di fatto organico al giornale.
Come è cambiata negli ultimi 30 anni, almeno, la professione giornalistica, soprattutto nel racconto della cronaca nera, secondo te?
La cronaca è stata sempre raccontata in maniera anche molto spettacolare, molto attenta a particolari spesso morbosi o inquietanti. Questo aspetto della spettacolarizzazione ha preso molto più piede ed è diventato molto più importante, diciamo dall'inizio degli anni 2000. Il motivo per cui abbiamo deciso di fare Indagini è che siamo convinti ci sia un modo diverso di raccontare la cronaca, più legato ai semplici fatti, agli atti dei processi al racconto di come si svolgono le indagini.
La cronaca, comunque, ha sempre portato a un certo tipo di racconto perché ovviamente tende a fare uscire le emozioni e le emozioni nei fatti di cronaca ci sono, sono date dal fatto stesso, è inutile cercare di forzarle.
Saper affrontare la “Medusa”, intesa come il volto del male è al centro dell'idea del podcast. Che nasce ponendosi l'interrogativo se affrontare la Gorgone, nel mio caso questa immagine mi è venuta un po' in contrapposizione con chi sceglie legittimamente di censurare o non vendere libri controversi come quello del generale Vannacci. Io sto più dalla parte del cantante Fulminacci, invece, che in una sola canzone in una sua canzone - Un fatto tuo personale - canta così: “togliamo il male da quel piedistallo, non evitare mai di nominarlo, e se ti basta un codice morale, diamogli una spolverata, è un po' vecchiotto e poi somiglia troppo al codice della strada”.
Ecco nel tuo caso tu sia con il podcast che con il libro hai voluto affrontare un viaggio dentro alle origini del male. Non tanto per spiegarne la nascita della motivazione, ma per descriverne il volto prima stavo per dire che il tuo viaggio è stato dantesco, invece no, cioè anche il tuo assomiglia più ai versi di Fulminacci. Cioè, non hai bisogno di metterci un giudizio morale. Perché l'accostamento di fatti e vicende parla da sé e restituisce umanità soprattutto alle vittime e ai familiari delle vittime che in genere in genere sono buttati. Come ingredienti qualsiasi nel frullatore mediatico.
Sei d'accordo con questa visione?
Credo non spetti ai giornalisti dare giudizi e insegnamenti morali. Sono i fatti in sé che raccontano le cose, che descrivono il mondo, descrivono quello che avviene. Poi il lettore o l'ascoltatore si fa la sua idea, se vuole. Magari non ha voglia di farsela, però appunto, non c'è da parte mia la ricerca di una morale, la ricerca di un codice i fatti che racconto sono fatti brutti e non c'è bisogno di nessun accompagnamento, di nessuna sottolineatura .
Quando è uscito per la prima volta il tuo podcast avevo da poco finito di leggere un libro molto interessante, che si chiama "Nero come il sangue. Storia dell'omicidio della Rivoluzione francese ai giorni nostri", di Carlo Lucarelli e Massimo Picozzi, edito da Solferino. Lì il dettaglio è sicuramente più cruento, però mi ha colpito il fatto che si incominciava a ragionare sul perché l'interesse verso queste tematiche senza poi dover lavorare sulla crudeltà dei fatti. E sulla narrazione granguignolesca.
La domanda del perché esiste un interesse verso questo tipo di cronaca e del true crime è una domanda antica. È difficile dare una risposta, probabilmente sono tanti fattori insieme, allora mi illudo che da parte nostra ci sia un tentativo di raccontare in maniera diversa la cronaca, senza soffermarsi senza indugiare ma non voglio neanche chiamarle voyeurismo o di troppa morbosità, però spesso si prendono dei percorsi laterali in cui si raccontano cose che poi coi fatti c'entrano poco. Io credo che il successo sia anche perché è un racconto distaccato che tenta di vedere le cose dal di fuori e in maniera neutra e distaccata. Che non vuol dire senza emozioni perché le emozioni ci sono sempre e sono ovviamente forti, però che cerca di tenersi fuori dall' aspetto troppo voyeuristico che a volte indubbiamente c'è.
E nel tuo libro c'è una premessa, ma non una conclusione. C'è il racconto di dieci fatti di sangue più o meno famosi in cui veramente ci si chiede che cosa possa scattare dentro ad alcuni esseri umani per commettere quello che hanno commesso. Che cos'è il fattore dark di cui parli nella premessa e che cosa ci dice della mente umana?
Il fattore dark è quello che secondo molti scienziati fa parte di ogni essere umano. C'è una parte di attitudine, chiamiamola così, al lato oscuro. Che poi per la stragrande maggioranza degli esseri umani è una parte assolutamente normale, con cui si convive e che non comporta modifiche al proprio comportamento. Poi ci sono persone in cui questo fattore dark prende il sopravvento e diventa altro. Attitudine alla sopraffazione, alla violenza anche alla cattiveria. Ecco, io racconto delle storie cercando di capire come sono iniziate. Qual è l'origine. E non ho la risposta per capire l'animo umano, perché non posso sapere cosa esattamente si agitava in queste persone, posso cercare di capire e di raccontare la loro storia e questo non vuol dire né giustificarla né dire di averla capita. Solo, raccontandola qualcosa in più si riesce a comprendere e a vedere, forse.
Tra le tante cose che scrivi con grande arguzia dici una cosa che meriterebbe una trattazione a parte. Scrivi: "la follia non basta spiegare i crimini". Però quando c'è e viene riconosciuta la giustizia di questi tempi adotta la soluzione dei Rems, che sono le residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza: la versione aggiornata dei vecchi manicomi criminali. Che idea ti sei fatto di queste particolari misure di detenzione?
C'è un grande dibattito su tutto questo. Siamo passati dall'abolizione dei manicomi, che erano strutture veramente disumane, agli ospedali psichiatrici giudiziari, che erano comunque strutture detentive, di fatto, in cui le persone malate venivano si e no curate, con qualche eccezione per alcune strutture. Le Rems, però, sono poche. C'è una grande lista d'attesa per potervi accedere e per questo tante persone con disturbi riconosciuti restano comunque in carcere. Diciamo che è una delle parti dell'istituzione carceraria, e quindi della Giustizia, che dispone di pochi mezzi e avrebbe bisogno di maggiore impegno e attenzione.
La tua prosa è piacevolissima essenziale, come risultato evidente di una ricerca funzionale all'intento del tuo lavoro, al punto che è impossibile proprio non leggere il libro con la tua voce in testa. Anche perché è scritto benissimo anche il podcast. Come funziona il lavoro di ricerca e infine di scrittura per Indagini?
Il lavoro di ricerca e di sintesi è quello più impegnativo, quello più lungo e difficile. Man mano che faccio una sintesi, inizio anche a scrivere. Però il lavoro di ricerca, cioè quello di capire quali sono le cose essenziali di storie che sono peraltro spesso molto corpose, molto lunghe, a volte lunghe anni, a volte piene di altre storie all'interno, è la cosa in assoluto più complessa per Indagini.
Vorrei soffermarmi ancora sull'aspetto mediatico dei casi di cronaca nel libro. Fai l'esempio della scellerata intervista di Paolo Bonolis a Donato Bilancia per Domenica In, ad esempio, ma il processo mediatico è diventato qualcosa di ormai ineludibile nei casi di cronaca in Italia. Che cosa ci ha portato secondo te a questa forma di schizofrenia? E chiedo scusa per la domanda orientata, ma per me è così.
Ci ha portato a una distorsione nella visione dei fatti che accadono, perché la realtà rispetto a quello che è il racconto mediatico è molto più difficile molto più caotica. Molto più lenta. Le indagini hanno bisogno dei loro tempi, dei loro percorsi, che sono complicati fatti di tante cose, basti pensare che quando i tecnici della scientifica o del Ris arrivano sulla scena del crimine, trovano davanti a loro centinaia di elementi. Poi, magari, quelli importanti, quelli che contano, sono due tre. Bisogna capire, poi bisogna analizzare. La tv e in genere il racconto giornalistico, hanno tempi molto più più veloci che creano aspettative per cui lo spettatore già pensa di poter individuare il colpevole. Pensa di poter sapere che cosa è avvenuto. Ecco, questo rischia di creare un'aspettativa che poi è diversa da quella che è la realtà.
Nel libro, come nel podcast, ne sentiamo di tutti i colori. Per esempio delle numerose ospitate in tv dei criminali già giudicati o presunti tali, delle lettere d'amore che i serial killer ricevono in carcere, persino degli psicologi che intrecciano relazioni amorose con loro. Si imparano anche molte altre cose come il caso Claps e anche quello del Circeo confermano, e cioè se hai molti soldi o puoi esercitare una qualche forma di potere, non dico che la fai franca, ma insomma...Alla fine il crimine paga?
È un dato di fatto che se sei una persona che può permettersi un avvocato molto bravo, hai più possibilità di chi non può permettersi tutto questo. E gli avvocati molto bravi, banalmente, costano. Poi, se il crimine paga direi di no, non credo. Perché poi i criminali pagano comunque. Però questo fa parte proprio della vita, nel senso che chi ha maggiore possibilità le ha in tutti i campi. Chi commette un crimine, non credo che la faccia franca perché è più potente. Magari è successo, può succedere, però anche questo non è come ce lo immaginiamo. Un magistrato inquirente che scopre un crimine lo persegue, anche se la persona che l'ha commesso è potente, ricca, eccetera.
Al di là della tua potentissima capacità narrativa, uno dei motivi per cui il tuo lavoro mi piace moltissimo è il fatto che le vittime restano al centro della narrazione. Così come il dolore di chi resta. Secondo me questa è la luce più giusta alla quale esporre i casi di cronaca nera. Sembra, invece, che il ruolo della vittima non interessi davvero a nessuno e che anche in qualche modo dovesse interessare, sia perché risulta funzionale a una grande storia di intrattenimento. Nel libro riporti, non a caso, le parole di Donatella Colasanti, sulla quale vorrei soffermarmi un momento. Donatella Colasanti è la donna che scappò fortunosamente al massacro del Circeo. Questa donna, che sarebbe poi morta di cancro al seno poco tempo fa, implorò di non liberare Izzo perché era chiaro che avrebbe ancora fatto del male; questa donna non riconobbe mai neanche davanti agli esami del dna, la morte effettiva del terzo uomo del Circeo, Andrea Ghira, ufficialmente fuggito in Spagna. Ecco, persino una donna così tormentata da quello che le è accaduto, in una uscita pubblica ha voluto lasciare una lezione più grande di qualsiasi storia di redenzione o di reinserimento sociale. A chi le chiedeva se fosse felice, lei rispose: "E come potrei non esserlo? Sono una miracolata. Quelli come me hanno il dovere di essere felici". Vorrei chiederti un pensiero conclusivo proprio sull'aspetto delle vittime e sul modo in cui hai deciso di trattarle.
Le vittime nel racconto di cronaca, indipendentemente dal tipo di racconto, poi svaniscono. Perché tendono a essere raccontate altre cose. Restano sullo sfondo, però ci sono sempre. Sono loro che dobbiamo ricordare. Tenendo sempre a mente, anche qui, la differenza tra la realtà e il racconto televisivo. Nel racconto a un certo punto la vicenda ha una fine. La realtà non finisce mai. Chi viene coinvolto in vicende del genere, e ha un familiare che è vittima di violenza, sa che questo dolore non finisce come finisce un racconto. Sa che questo dolore resta, resta a cascata. Resta anche per chi viene coinvolto in queste vicende di sangue e magari non ha nessuna colpa, poi viene riconosciuto innocente, magari dopo anni. È per questo che li dobbiamo ricordare anche con il nostro lavoro.
Grazie Stefano Nazzi.
Grazie a te.
Terminiamo con i consigli di lettura che ci ha suggerito Stefano Nazzi.
Oltre al mio suggerimento, Carlo Lucarelli, Massimo Picozzi - Nero come il sangue: storia dell'omicidio dalla Rivoluzione francese ai giorni nostri, Nazzi ha consigliato: La vera e propria pietra miliare del genere crime, A sangue freddo, di Truman Capote
Eccoli qui:
A sangue freddo - Capote Truman
Mystic River - Lehane Dennis
Il volto del Male - Nazzi Stefano
Kronaka - Nazzi Stefano
Nero come il sangue: storia dell'omicidio dalla Rivoluzione francese ai giorni nostri - Lucarelli C., Picozzi M.
A Sangue Freddo - Capote Truman
Libri di Don Wislow
in particolare
Il cartello - Wislow Don